
L’accostamento dell’opera della Vergine delle Grazie presente nella Cattedrale di Lucera all’altisonante nome di Pietro Bernini è stato ufficializzato Sabato con il convegno tenuto al Circolo Unione nell’ambito degli incontri di “Lucera barocca Itinerari artistici in Capitanata” organizzati dal Club Unesco Federico II con relatore lo storico dell’arte prof. Mario Panarello.
Per lo studioso calabrese, l'elegante figura della Vergine delle Grazie che sostiene con un braccio il vivace e scattante Gesù Bambino e con l'altra mano svela il proprio seno, è la prima opera di Pietro Bernini finora “scoperta” in Puglia, regione in cui le opere scultoree di importazione napoletana sono davvero pochissime, avendone esempi solo a Bari (monumento a Bona Sforza), Barletta (San Giovanni Battista) e Altamura (San Vito). Nell'introdurre il relatore, lo storico dell’arte Christian de Letteriis, assai noto e apprezzato dall’attento e numeroso pubblico in sala, forniva una prima chiave di lettura della “scoperta”: a Lucera non deve destare scalpore la possibile presenza di un'opera del Bernini. Ciò in quanto le responsabili e dinamiche relazioni che fra tardo ‘500 e ‘600 la nobiltà lucerina (incluso il suo clero regolare e secolare e, più tardi, alcune potenti corporazioni di laici) seppe tessere con le principali botteghe napoletane è noto da tempo noto. Non a caso, in questo periodo, nelle cappelle gentilizie del Duomo di Lucera è attestata la presenza di artisti di chiara fama: dai pittori Girolamo Santacroce, Ippolito Borghese e Fabrizio Santafede, ai frescanti Belisario Corenzio e Avanzino Nucci, agli architetti e marmorari Cristoforo Monterosso e Giovanni Vannelli. Questo flusso incessante divenne particolarmente significativo in età barocca, allorché la città di Lucera, con i suoi straordinari luoghi di culto, fu destinataria dei prodotti delle più accorsate botteghe napoletane.
Ma veniamo ai grandi nomi che stanno emergendo alla luce di sempre maggiori e continue scoperte archivistiche e attributive.
Nel chiarire molti aspetti della vicinanza tra la scultura e la pittura negli anni a cavallo tra Cinque e Seicento, nel corso della sua relazione il prof. Panarello ha motivato le ragioni che lo portano ad ascrivere il rilievo di Lucera, concepito come una sorta di dipinto, alla produzione di Pietro Bernini (1562-1629), raffinatissimo maestro, nativo di Sesto Fiorentino, ma attivissimo dapprima a Napoli e poi a Roma, noto non solo per le sue qualità esecutive e, diciamo pure, poetiche, ma per aver dato i natali al grande Gian Lorenzo, il padre del Barocco, nato a Napoli nel 1598 da Pietro e Angelica Galante. La chiara evidenza dei confronti con opere documentate del celebre scultore fiorentino rende infatti molto plausibile l'accostamento tra il monumento di Lucera e la mano del maestro.
Datata 1605, e dunque ascrivibile all’ultima fase del periodo “napoletano” di Pietro Bernini (1584-1605), da tempo posta nella cappella di S. Maria Patrona, anche se in origine doveva essere collocata, con molta probabilità, in un luogo più in vista, la scultura marmorea ad altorilievo della Madonna delle Grazie è inquadrata, come una pala, sull’arca tombale di Giulio e Ascanio Mozzagrugno, a quell’epoca tra i più illustri e benemeriti cittadini di Lucera. Significativo il ricordo di Ascanio che fa lo storico lucerino Alfonso La Cava allorché riporta che nel 1601 egli propone «di mettere a monte metà o addirittura tutto il frutto del terraggio», e quando esso non bastasse per redimere la città, di porre «altri pagamenti sopra tutti li beni de li cittadini, pur che siano generali», offrendo egli per primo «non solo la sua robba in servitio della città, ma la propria vita».
Il monumento funebre si compone di più parti; alla sua realizzazione dovettero infatti intervenire più di un artista: Pietro Bernini (autore della Vergine con Bambino, delle due anime purganti e dei due splendidi genietti funebri ai lati dell’arca marmorea), ma anche Michelangelo Naccherino (1550-1622), uno dei massimi scultori del Viceregno napoletano. A quest’ultimo, anch’egli fiorentino e molto attivo nella città di Napoli, seguace del Giambologna e collaboratore di Pietro Bernini a Napoli (fontane monumentali del Nettuno e del Gigante) spetterebbero per il prof. Panarello i due busti-ritratto dei committenti. Solo un grande professionista della scultura come il Naccherino, invero, poteva rendere appieno le impercettibili sfumature presenti nel volto di due gemelli omozigoti. Ma ciò che rende ancor più convincente la corrispondenza tra l’opera lucerina e il pittoricismo delle sculture di Pietro Bernini è l'esame dei dettagli artistici del rilievo, svolto alla luce delle inconfondibili qualità esecutive che contraddistinsero la produzione del maestro toscano e di pochissimi altri artisti di questo periodo (tra questi, in Toscana, Giovan Battista Caccini): la sensibilità plastica e la morbidezza del tratto; il soffice effetto atmosferico dello sfumato, di ascendenza leonardiana, ottenuto con una tecnica peculiare della produzione del Bernini padre, che rendeva i ritatti “palpitanti di vita”; l’effetto di lucidissima levigazione, che rende i panneggi come “bagnati”. L’autografia del rilievo è data, infine, dalla accurata ricercatezza dei panneggi, dove non manca il raffinato effetto dei “vortici”, con le capigliature e, in altri casi, le barbe “ovattate” dei personaggi, simili a cirri di nuvole. L’opera di riferimento dell’Immagine di Lucera è sicuramente il grande rilievo marmoreo dell’Assunta realizzato da Pietro Bernini a Roma nel 1607, destinato ad impreziosire l’esterno della Basilica di Santa Maria Maggiore, ma poi collocato all’interno della Cappella del Battistero. Il confronto tra il capo dell’Angioletto di Roma e quello del Bambinello di Lucera è davvero "schiacciante". La stessa “vibrazione” permea le due figure, un virtuosismo reso attraverso gli effetti di levigazione e di sfumatura, a cui si è fatto cenno, nella cui esecuzione il Bernini rimane maestro insuperabile.
Per i due mezzibusti marmorei del monumento, contraddistinti da un’indagine di estrema delicatezza nella resa delle sottili variazioni fisionomiche dei due gemelli, il confronto significativo, ma non definitivo, è possibile invece con la grande perizia scultorea con cui il Naccherino ritrasse il marchese Cusano, Bernardino Borrionuovo y Peralta, nel monumento della chiesa di San Ginés a Madrid.
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Prima che fosse costruita l'attuale sagrestia c'era quella originaria che, secondo la progettazione dell'architetto D'angicourt, dovette sorgere alle spalle del sacro monumento, negli interspazi degli alti bastioni che meravigliosamente giganteggiano nella forma architettonica di pretto stile gotico. La costruzione del sacro edificio fu fatta, a bella posta, su d'una superficie a lieve declivio in modo che le fondamenta del dorsale fossero alquanto sottoposte al pavimento della chie sa. Sotto di esso potè crearsi un grande vano per l'uso della sagrestia e per l'ingresso all'immensa cripta eguale in misura alla superficie del pavimento della chiesa.
Nella cripta, antico cimitero in uso sino alla metà del secolo scorso, si tumulavano i resti mortali dei parrocchiani morti in comunione con la chiesa. Lo spazio più conveniente per l'ingresso alla sagrestia doveva essere quello interposto tra i due bastioni più larghi e a ventaglio che sostengono il muro del coro, sotto il finestrone centrale biforo ove ne rimane ancora traccia: una greca lunga circa un metro scolpita a foglie ornamentali ricorda l'architrave della porta esterna della sagrestia dalla quale si accedeva al coro per una scalinata interna e per il portale ricco di lunetta ad angolo acuto proprio dello stile gotico ov'è scolpito un agnello antistante ad una croce le cui punte superiori sono ornate degli stemmi angioini consistenti in gigli tribolati. Questo fu rimosso e posto dov'è attualmente per la comunicazione della chiesa con la sagrestia.
Dall'esterno della porta si avverte chiaramente che l'attuale sagrestia è certamente un fabbricato aggiunto al tempio Il muro facciale di essa è staccato completamente dal muro sterno della chiesa. Ciò è pienamente assicurato dalla cornice interna continuazione di quella che esternamente orna i muri perimetrali.
L'epoca della sua costruzione non è ancora storicamente accertata. Comunque, a comune giudizio degli altri maturato dalla tradizione, sembra rimonti all'epoca aragonese; quindi al sec. XV (tra il 1450 e il 1500). Originariamente la sagrestia era di un solo vano. Senonchè il 6.12.1780 furono costruiti «4 nuovi camerini » con volte sulla terrazza della sagrestia ed altri lavori per 890 ducati d'argento previo contratto stipulato tra il cantore D. Federico Di Nunzio e D. Saverio Del Vecchio procuratori delle Reali Riparazioni e il muratore Carmine Del Buono preferito al muratore Giovanni Colasanto. (Arch. di Stato - Lucera - Prot. notarile II serie n. 360).Della stessa cosa in termini ancora più generici di « camerini » si parla in un secondo contratto del 27.2.1782 stipulato dal notaio De Palma. (Arch. di Stato - Lucera: prot. notarile lI serie pag. 21 fol. 2).
I nuovi quattro vani costruiti in quel tempo furono di grande aiuto alla chiesa. Senonchè, dichiarata la cattedrale monumento nazionale nel 1882, la Sovraintendenza ai monumenti oltre all'abbattimento delle quattro cappelle laterali e alla soppressione di ogni struttura estranea allo stile nell'interno della chiesa, fece demolire i quattro vani; sicchè rimase il solo vano a piano rialzato della sagrestia.
Per comodità pastorale verso il 1930 fu praticato un solaio che dimezzò l'altezza della sagrestia. Per una modesta scalinata, si raggiunge il 1° piano composto di due stanze adibite l'una per riunioni capitolari e l'altra per ufficio parrocchiale.
Non potendo edificare sulla terrazza, essendo contraria la Sovraintendenza ai monumenti, verso il 1985, si pensò di scavave per ricavare dei locali al disotto della pavimentazione, ma durante i lavori furono ritrovati i resti di una strada romana che, molto probabilmente, conduceva verso le terme di porta S.Severo e cosi i lavori furono interrotti e la sagrestia non ha mutato il suo aspetto.